Osservando praticare le classi di yoga emerge in modo evidente come le asana di equilibrio siano difficoltose per tutti.
Se posture che richiedono forza, allungamenti, piegamenti, vengono lentamente “acquisite” e assimilate, per quanto riguarda l’equilibrio è sempre tutto molto più complesso.
Restare dritti su un solo piede o completamente distesi su un fianco risulta spesso impossibile.
L’aspetto anatomico-fisiologico legato all’equilibrio risiede nei labirinti, due grandi recettori posti dietro ai padiglioni auricolari la cui funzione è appunto quella di dar luogo al senso di equilibrio e di trasmettere al cervello impulsi necessari alla regolamentazione di movimenti, forza muscolare, velocità di esecuzione e coordinamento del tutto.
E’ quindi necessario trasmettere ai labirinti le informazioni giuste attraverso movimenti del corpo lenti, un respiro calmo e regolare e una tranquillità mentale perché un’asana possa essere raggiunta.
Quanto al mantenimento, l’osservazione dei muscoli, delle articolazioni, dei tendini, della colonna vertebrale, del bacino e degli arti, aiuterà molto.
Lo yoga insegna pazienza e consapevolezza e quindi ecco due elementi fondamentali sui quali lavorare per acquisire la stabilità anche quando viene chiesto al corpo di assumere posizioni che sembrerebbero appartenere agli equilibristi.
Ma se è tanto difficile per tutti mantenere asana innaturali, perché mai da sempre vengono “propinate” e anche Patanjali migliaia di anni fa ne ha parlato nel primo capitolo degli Yoga Sutra?
Sono diverse le motivazioni che dovrebbero spingere un adepto a riflettere e a lavorare sull’equilibrio; innanzi tutto perché proprio nel mantenimento dello sforzo entriamo in una sorta di attitudine mentale di “accumulo dell’ascolto” che è il contrario della dispersione – possiamo e anzi, spesso ne siamo costretti, a dover mantenere il livello d’attenzione a Sé cosi alto da fare l’esperienza della consapevolezza, del qui e ora.
Per gestire movimenti o posture che spingono lo scheletro fuori asse è necessario agire su parti del corpo imparando a conoscere quali sono i nostri punti o lati più deboli e andare a rafforzarli o semplicemente conoscerne i limiti fisiologici.
Possiamo affermare che la ricerca dell’equilibrio è un gioco di piccole contrazioni muscolari necessarie e utili al rafforzamento di parti molto importanti del corpo, come ad esempio il pavimento pelvico, il diaframma, i muscoli dorsali e quelli addominali.
Dal punto di vista simbolico ogni forma apparentemente precaria necessità della ricerca di una buona stabilità senza la quale il corpo non potrebbe essere sostenuto, ecco quindi che lavorando sul piano fisico, e ricercando un punto fisso sul quale fissare lo sguardo, anche il piano psicologico viene influenzato positivamente ritrovando la centratura.
Per un principiante è fondamentale crearsi un punto e fissarlo, sentire il fluire del respiro che dal punto arriva a sé e viceversa; crearsi “un punto fisso” è importante per la ricerca dell’equilibrio ed è sostanziale per vivere l’attimo; ne facciamo l’esperienza nello yoga per riportarla nel quotidiano.
Quando il praticante diventa sufficientemente esperto allora sarà più semplice vederlo praticare ad occhi chiusi, con lo sguardo sempre fisso, non più all’esterno, ma dentro di sé.
Esiste altresì la componente fisico/psichica che interagisce costantemente; se abbiamo un organo con l’energia squilibrata la risposta mentale sarà certamente connessa e conseguente: i reni “scarichi”, per esempio, porteranno nell’individuo l’emozione della paura e viceversa; riequilibrando corpo e mente, ristabiliremmo l’armonia propria della natura.
Il percorso verso la stabilità (fisica ed emozionale) può sembrare lento e difficile, ma certamente con la costanza e la motivazione che ci spingono ad una buona pratica otterremo risultati sorprendenti: stare sull’appoggio di un solo piede sarà come essere un albero, ben radicato alla terra ma con le possibilità di “spingerci” verso alte e altre direzioni.